Il Coordinamento dei Centri Antiviolenza del Friuli Venezia Giulia aderisce allo sciopero globale dell’8 marzo contro la violenza di genere lanciato dal movimento delle donne argentine “Ni Una Menos”: quello che accadrà domani in 40 paesi del mondo è un fatto straordinario che ridà senso a questa giornata che da troppo tempo era stata svuotata del suo significato originario e cioè della lotta per l’uguaglianza dei diritti e la libertà delle donne.

Molti fattori hanno determinato la ridiscesa in piazza delle donne come soggetto politico attivo, che chiede alla politica di intraprendere azioni forti e significative, adottando politiche di genere, che mettano al centro il ruolo fondamentale delle donne in tutti i settori della vita pubblica. All’origine della protesta, vi è un arretramento generale dei diritti delle persone in termini di libertà e di accesso alle risorse che sta avendo una maggior ricaduta sulla vita delle donne. (diritto all’aborto - …)

Altro fattore attorno al quale i movimenti di donne si sono aggregati è stato il fenomeno della violenza contro le donne e il numero di femminicidi commessi ogni anno in questo paese. Si tratta spesso di morti annunciate perché il fenomeno è poco conosciuto, spesso minimizzato e le risorse messe a disposizione scarse.

La forza dei centri antiviolenza e del movimento “Non Una di Meno” si è raccolta nella manifestazione del 26 novembre a Roma dove circa 300mila donne hanno partecipato a un corteo, chiedendo al governo di riscrivere un nuovo piano antiviolenza che metta al centro del cambiamento la libertà e non il controllo delle donne, la pratica della relazione tra donne e non la burocrazia.

Fino ad oggi, le istituzioni hanno affrontato il tema della violenza di genere adottando per lo più provvedimenti emergenziali e securitari, che non solo non hanno affrontato in maniera sistemica il fenomeno in questione, ma neppure hanno prodotto un cambiamento di cultura negli operatori/trici nei servizi a cui le donne vittime di violenza si rivolgono. Le donne infatti continuano a dirci che:

  • Non sono incoraggiate a rivelare la violenza subita;

  • Quando lo fanno spesso non vengano credute e quindi rivittimizzate;

  • Non viene attribuita la giusta responsabilità al violento per suoi agiti;

  • Subiscono pressioni da parte dei Tribunali e dei Servizi sociali e sanitari al fine di trovare soluzioni conciliative con il partner violento, particolarmente in presenza di minori ai quali non vengono riconosciute adeguatamente le conseguenze della violenza assistita ;

  • Non trovano, spesso, operatori/trici debitamente preparati sulla natura, sulla dinamica e sulle conseguenze della violenza di genere e sui servizi disponibili;

  • Il problema della violenza viene ricondotto a caratteristiche psicologiche individuali piuttosto che a dinamiche sociali e culturali.

Prova ne è il numero esiguo di condanne e/o provvedimenti cautelari a carico dei maltrattanti a fronte di un incremento significativo del numero di denunce, fatto che lascia il violento libero di agire aumentando il rischio di recidiva a carico delle donne e dei loro figli/e. L’analisi dei casi di femminicidio verificati in Italia dimostra che in molti casi le donne avevano sporto denuncia contro i propri maltrattanti senza che ad essa corrispondessero adeguate misure a tutela loro e dei figli. La recente condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso di Remanzacco rivela le falle del nostro sistema di intervento, che lascia le donne sole a gestire situazioni ad alto rischio.

Il futuro Piano Nazionale Antiviolenza, sostenuta dal movimento di donne Non Una di Meno, riconosce ai Centri antiviolenza un ruolo di primo piano nelle gestione dei casi e nella promozione di un cambiamento culturale, in virtù del fatto che tali Centri hanno nel tempo dato vita a un’articolata rete nazionale, in cui ciascun singolo Centro antiviolenza funziona come nodo all’interno di una vasta costellazione di soggetti che ruotano intorno a valori e che condividono una mission comune. L’adesione alla rete è basata sulla condivisione di principi e valori e non mere procedure burocratiche, valori che hanno permesso la lunga durata (più che ventennale) dell’operato dei Centri antiviolenza nonostante le gravi difficoltà economiche tuttora esistenti.

Le nuove proposte di legge contro la violenza di genere, come quelle attualmente in agenda al Consiglio regionale della nostra regione, avanzate da consiglieri e consigliere regionali di tutti gli orientamenti politici, tendono a voler irreggimentare e controllare il fenomeno della violenza di genere attraverso la creazione di nuove reti formate da operatori socio-sanitari che rischiano di trasformare la violenza in un problema psicologico o in un’arena in cui si scontrano diritti di madri, padri e figli negando la natura violenta e non conflittuale della relazione. A differenze delle reti create dai Centri antiviolenza in cui tutti i soggetti della rete sono interconnessi ma indipendenti e tendono a trattare gli altri soggetti in maniera paritaria, le leggi proposte relegano i Centri antiviolenza a meri servizi di assistenza e di emergenza, collocandoli in una posizione gerarchicamente inferiore. Costringere i Centri a dotarsi di una struttura interna simile a quella dei servizi pubblici implica che il lavoro si focalizza sul dentro, ovvero sull’organizzazione interna, piuttosto che sul fuori, ovvero sul cambiamento sociale.

Come abbiamo più volte sottolineato pubblicamente, questa regione, si è dotata di una buona legge, la n°17/2000, che fu promossa e scritta da Consigliere regionali e donne attiviste di movimenti al di là delle appartenenze politiche, una legge che riconosce il ruolo e la metodologia dei Centri antiviolenza, facendo proprio il portato di valori di questi movimenti.

Sicuramente la legge 17 andrebbe integrata con alcune delle disposizioni previste dal Piano Nazionale Antiviolenza, in particolare con: un osservatorio regionale sul fenomeno; una governance multilivello regionale che sia in grado di programmare azioni di contrasto al fenomeno in accordo con il governo centrale; un sistema Integrato di raccolta ed elaborazione dei dati; una ridefinizione delle modalità di redistribuzione dei fondi.

Il Silp Cgil da sempre sensibile al problema della violenza di genere, che ha cercato di affrontare anche organizzando assieme al Centro Antiviolenza GOAP di Trieste, un corso di formazione per operatrici/operatori di Polizia, che aveva suscitato molto interesse tra i partecipanti, esprime il proprio sostegno all'iniziativa del 8 marzo.


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