Quando muore "uno della Stradale"

La luce che accendeva lo sguardo di Francesco Pischedda tornerà presto a brillare negli occhi di un'altra persona. L'ultimo grande dono che Francesco e la sua famiglia hanno fatto a tutti noi è quello delle cornee.

Comunque sia, niente basterà a compensare la perdita di questo ragazzone di 29 anni che aveva sempre coltivato il sogno di entrare in polizia e che ha trovato la morte inseguendo un malvivente. Francesco lo conoscevamo bene noi del Silp Cgil perché ci aveva onorato con la sua iscrizione al sindacato, nel quale credeva. Aveva origini sarde, ma era nato a Imperia e il suo sogno era quello di diventare un poliziotto.

Dal 2011 lavorava alla Sottosezione Polizia Stradale di Bellano (Lecco), un ufficio-famiglia dove tutti si conoscono e si frequentano. Pischedda era, orgogliosamente, "uno della Stradale" e si era fatto ben volere sin da subito per la sua disponibilità e la sua simpatia. Aveva una compagna e una figlia di meno di un anno, alla quale cercheremo di essere concretamente vicini.

La sua scomparsa si aggiunge a quella dei 373 operatori della polizia stradale che dal 1947 a oggi sono entrati a far parte del firmamento dei centauri in divisa. Ho ricevuto molte telefonate, ho parlato con tanti colleghi e ho letto moltissimi commenti sui social in questi giorni: c'è comprensibile dolore per la morte di questo giovane collega, ma c'è anche tanta rabbia.

Rabbia perché in quel tratto di strada tra le due corsie della superstrada 36 era aperto un vuoto che ha determinato la caduta di Francesco e della persona che stava inseguendo. Rabbia perché il destino, mai come in questo caso cinico e baro, ha deciso di prendersi il nostro collega e, forse, di salvare la vita al malfattore. Rabbia perché i poliziotti che fanno ogni giorno il proprio dovere non sognano di diventare "eroi" ed essere ricordati con una medaglia al valore, ma vogliono operare nel miglior modo possibile e in sicurezza, soprattutto con dotazioni adeguate.

Forse, sostiene qualcuno, la colluttazione tra il nostro collega e il fuorilegge, che ha determinato la caduta nel dirupo, avrebbe potuto essere evitata se fossero già in dotazione a tutto il personale gli spray al peperoncino per i quali da tempo sta andando avanti una sperimentazione. Forse. Una cosa è sicura. Quando si fa parte della polizia stradale, ma anche quando si svolgono servizi di volante, il rischio è sempre dietro l'angolo.

Ogni giorno in Italia si muovono oltre 42 milioni di veicoli e il traffico su gomma è di gran lunga quello che incide di più nel trasporto nazionale. Per garantire la sicurezza delle strade - 7.000 km di rete autostradale oltre a 450.000 km di rete primaria - abbiamo a disposizione poco meno di 12.000 operatori della Stradale e una media di 1.500 pattuglie al giorno.

Numeri che danno il senso di un impegno e di uno sforzo straordinari. Numeri che, come denunciamo da tempo, andrebbero certamente adeguati perché le piante organiche sono rimaste ferme a trent'anni fa - 1.000 operatori in meno rispetto all'organico previsto - mentre il traffico veicolare è decuplicato. Per il poliziotto della "strada", per l'agente che sta in "strada", l'imprevedibilità e la tragedia sono sempre dietro l'angolo.

Lo sanno bene coloro che hanno lavorato o che lavorano in questi reparti da prima linea. Il rischio può venir fuori da un banale controllo durante un posto di blocco o di controllo come da un pericoloso criminale in fuga che non esita a spararti al solo chiedere patente e libretto. Sono tante, troppe, le storie a cui, negli anni, abbiamo assistito o sentito.

Proviamo a raccontarne alcune, ma non riusciremo mai a essere esaustivi: dal personale di pattuglia sulla viabilità ordinaria che ebbe la sfortuna di fermare quel Vallanzasca che rispose al fuoco ferendo i componenti mortalmente fino al motociclista in divisa che, oltre cinquant'anni fa, durante l'inaugurazione dell'autostrada A/6 Savona-Torino, perì in un incidente stradale, senza dimenticare tutti coloro che, pur rimasti vivi, sono oggi inchiodati su di una sedia a rotelle.

Si tratta spesso di giovani, se non giovanissimi. Ragazzi come Francesco che non si sarebbero mai tirati indietro perché quel rabbioso "Chi te l'ha fatto fare di inseguire quel delinquente?", gridato anche da alcuni poliziotti sui social, è probabilmente comprensibile nel momento del dolore, ma non risponde in alcun modo allo spirito più profondo di chi veste una divisa, non "eroi", ma semplici lavoratori che svolgono una professione di aiuto al servizio della gente.

Che cosa possiamo raccontare alla giovane compagna di Francesco Pischedda e a quella bambina che non conoscerà mai il padre, ma che di sicuro ne andrà orgogliosa quando conoscerà la sua storia? I poliziotti sanno di rischiare la vita, fa parte del mestiere. Quello che non possono accettare è il lavoro senza dignità, come non può accettarlo qualsiasi categoria di lavoratori.

Perché il punto è anche questo: se è criminale aver spento il sorriso di Francesco, vergognoso è l'atteggiamento di chi negli ultimi 10 anni ha tagliato risorse per la sicurezza, negando mezzi e strumenti adeguati, portando il turn over al 20 per cento e costringendo tutti a turni massacranti e anche persone di quasi 50 anni a lavorare ancora in strada.

Perché in queste occasioni, quando un poliziotto muore, tutti si affannano a "dimostrare" la propria vicinanza alle forze dell'ordine, salvo dimenticarsi il giorno dopo che in Italia i lavoratori in divisa aspettano un adeguamento contrattuale da 8 anni, con stipendi da fame. Probabilmente un caso unico al mondo.

Francesco, da lassù, starà adesso di sicuro sorridendo di queste nostre piccolezze. Sarebbe bello poterti riavere tra noi, ma non abbiamo questo potere. Possiamo però impedire un'altra morte, quella della Dignità con la "D" maiuscola. A nessuno è permesso portarla via. Nessuno può portarla via alle lavoratrici e ai lavoratori della polizia di Stato.

Fonte:  http://www.huffingtonpost.it/daniele-tissone/quando-muore-uno-della-stradale_b_14630846.html?utm_hp_ref=italy 




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