Legge e ordine indispensabili per una civile convivenza
Intervista al magistrato Piercamillo Davigo

Il percorso professionale di Piercamillo Davigo, magistrato, pubblico ministero di “mani pulite”, ex presidente Anm e oggi giudice di Cassazione, è noto a tutti. Come le sue prese di posizione, spesso forti, talvolta non condivisibili, ma comunque sempre molto nette. Lo abbiamo intervistato.

Dott. Davigo, quali motivazioni l’hanno portata a scegliere di diventare magistrato? Si definirebbe un uomo d’ordine?
“Ho percepito l’attività del magistrato in questi termini: una persona i cui diritti sono stati violati mi si rivolge e mi chiede di difenderlo con la forza dello Stato. In questo senso credo che il binomio legge e ordine sia indispensabile per una civile convivenza"

Partiamo dalla crescente percezione di insicurezza dei cittadini. Lei da sempre è contro la militarizzazione delle nostre città. Qual è la sua ricetta per un reale controllo del territorio?
“L’insicurezza è solo percepita. Lo scorso anno gli omicidi volontari sono stati meno di quattrocento, buona parte dei quali in contesto familiare e parentale. L’Italia è uno dei Paesi più si curi d’Europa. Di fronte all’insicurezza solo percepita si è risposto con politi- che di rassicurazione che non servono a garantire sicurezza e secondo me neppure rassicurano. Mettere guardie e militari ovunque serve a poco.
Durante il sequestro di Aldo Moro nella sola Città di Roma c'erano 80.000 uomini in armi e le Brigate Rosse recapitavano le lettere del rapito con una puntualità sconosciuta al servizio postale nazionale dell'epoca".

Negli ultimi 15 anni i tagli alla sicurezza hanno falcidiato le forze dell’ordine. Solo tra 2009 e 2011 le destre hanno tagliato 3,3 miliardi. Non ritiene sia necessario investire maggiormente sul settore?
“Nei mezzi sicuramente, quanto agli organici no. L’Italia ha il più alto numero di appartenenti alle Forze di polizia rispetto alla popolazione d’Europa. Se si evitassero sovrapposizioni e l’impiego di migliaia di uomini in attività di “rassicurazione”, il personale di polizia sarebbe sufficiente e meno stressato”.

Come magistrato lei ha lavorato e lavora a stretto contatto con la polizia giudiziaria. Ritiene che l’attuale rapporto Pm - Pg sia equilibrato o che siano necessari correttivi?
“Il rapporto è equilibrato ma ci sono problemi strutturali. Il primo è che i Corpi di Polizia in Italia sono concepiti anzitutto come organi di pubblica sicurezza e solo in seconda battuta quali organi di polizia giudiziaria. Questo comporta che siano strutturati soprattutto per la repressione dei reati visibili, che incidono direttamente sull'ordine pubblico e non per fronteggiare la devianza delle classi dirigenti pubbliche e private. Il secondo problema è che con i collaboratori di giustizia si è invertito il flusso informativo: non è più la polizia giudiziaria che informa l'autorità giudiziaria, ma quest'ultima che acquisisce direttamente notizie. Questo ha comportato che gli archivi di polizia possono essere meno aggiornati di un tempo”.

 Pensa che sul contrasto al terrorismo il governo italiano stia facendo tutto quello che è necessario?
“Per quel che appare si. Ignoro quello che fanno i Servizi di informazione e sicurezza. Di fronte al terrorismo fondamentalista non solo sono difficili operazioni di in infiltrazione, ma c’è un serio problema di reperire interpreti affidabili di lingue e dialetti parlati di minuscoli gruppi etnici”.

Sempre più spesso si accosta, in maniera incauta, l’immigrazione con il terrorismo. Qual è la sua opinione?
“Non mi pare ci siano legami rispetto all'immigrazione clandestina o ai rifugiati. Per quanto riguarda gli stranieri che vivono in Italia finora non abbiamo avuto manifestazioni di pericolosità di rilievo, ma è pur vero che rispetto ad altri Paesi non abbiamo ancora la seconda o la terza generazione che si sente rifiutata e reagisce alla frustazione con la violenza".

 Non è che a furia di parlare di terrorismo si dimentica il vero, grande problema italiano, cioè le mafie?
“In effetti le organizzazioni mafiose costituiscono il più grave problema sotto il profilo della sicurezza e della giustizia. La concentrazione dell’attenzione su Cosa Nostra dopo le stragi ha certamente contenuto la mafia siciliana, ma è dilagata quella calabrese".

Tanti magistrati e po liziotti sono morti semplicemente perché facevano il loro lavoro. Ma lo Stato ci tutela davvero?
“Se qualcuno viene ucciso è perché si pensa che lui sia un pericolo, il che implica che si temono i singoli e non le strutture e su questo occorre interrogarsi”.

Molte condanne rientrano nei limiti della sospensione condizionale della pena: resteremo sempre il Paese che non manda in carcere i delinquenti?
“Siamo uno dei Paesi europei con il minor numero di detenuti. La repressione penale non è una variabile indipendente. In un mondo dove le frontiere sono soppresse o evanescenti, se il tasso di repressione concreto applicato in uno Stato è più alto di quello di altri Stati si esporta criminalità. Se è più basso si importa criminalità”.

Un’ultima domanda. Lei si confronta spesso con gli studenti. Ritiene che il principio di legalità in Italia sia un optional?
“Utilizzo il treno ad alta velocità da Milano (dove abito) a Roma (dove sono in servizio). Alla partenza del treno (per inciso di una società controllata dallo Stato) un annuncio informa i passeggeri che su quel convoglio è severamente vietato fumare. L’avverbio severamente è una sciocchezza riferito ad un divieto. Una cosa non può essere vietata un po’, tanto o tantissimo. È vietata oppure è permessa. Quell’avverbio è però il segno che si ritiene che, se si dice solo che è vietato, non importa granché a molti”.

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