“La minaccia Terroristica, gli strumenti legislativi e il contrasto di Magistratura e Polizia”.

Editoriale  di Daniele Tissone Segretario Silp Cgil

 

Il convegno svoltosi oggi presso la Crf di Firenze ha avuto il pregio di “mettere insieme” una discussione circa gli aspetti legislativi e gli strumenti investigativi utili a fornire una risposta all'emergenza terrorismo.

In tale ottica la presenza a questo tavolo dei rappresentanti dei lavoratori ci consentirà, anche, di porre in essere, nel corso della discussione, adeguate riflessioni in ordine alle molte criticità che nascono alla luce di un nuovo quanto preoccupante fenomeno che non ha precedenti in Europa come nell'occidente.

Gli attentati dell'11 Settembre del 2001, che hanno proiettato improvvisamente il mondo in un incubo imprevedibile, e che ci hanno purtroppo fatto acquisire una nuova consapevolezza in relazione alla neo minaccia del terrorismo di matrice islamista, hanno altresì determinato, così come avvenne in Italia di fronte all'escalation delle Brigate Rosse, una accelerazione nell'evoluzione giuridica della legislazione in materia di antiterrorismo.

Infatti, nel corso degli anni '70 in Italia, a fronte del diffuso e sanguinoso fenomeno del terrorismo interno, che vide protagoniste organizzazioni di matrice marxista-leninisita nonchè gruppi di estrema desta, il nostro Stato si dotò di una serie di contromisure facendo, per la prima volta ricorso, a specifici provvedimenti di carattere tecnico-organizzativo e giuridico.

Un tale sforzo, fatto di progressivi interventi che andranno sotto il nome di “legislazione di emergenza” riguardarono, per la circostanza, il potenziamento di infrastrutture, l'adeguamento dell'armamento e della strumentazione tecnica nonché il miglioramento della selezione e dell'addestramento del personale delle forze di Polizia.

Non solo, si addivenne, in tale contesto, ad un più efficace coordinamento delle forze di Polizia attraverso l'istituzione di appositi uffici a livello centrale e periferico ammodernando i procedimenti di elaborazione dei dati con la computerizzatone a fini di Polizia.

Erano i c.d. “anni di piombo”, ma anche la stagione che portò al movimento per l'efficienza democratica della polizia, al sindacato, alla riforma, alla legge 121 del 1981.

Allora, se ripassiamo con la mente a quanto accadeva negli anni 70 e 80, procedendo con un raffronto con quel periodo, sono purtroppo oggi assenti chiari indirizzi politico-istituzionali; una polemica culturale impegnata ed una politica capace di concepire un piano teso alla concezione di un reale disegno istituzionale adeguato alle sfide che ci attendono.

Lo si registra con il dl Madia, una riforma che non individua delle mete alte per il sistema di sicurezza pubblica, che le persone sviluppino, in coerenza con il loro progetto di professionalità, di valori, di aspettative della dignità della funzione ma che, come nel caso dell'assorbimento del Corpo Forestale, fa arretrare di anni quel processo di riforma voluto dalla Legge 121/81.

In questo senso, la Repubblica e la sua natura di stato di diritto ha bisogno di concepire un piano serio che comprenda nel suo insieme un progetto finalizzato allo sviluppo, al lavoro alla coesione sociale e per una sicurezza pubblica al passo con le nuove sfide del futuro.

Mentre si dispiega una crisi organica nelle società, dell’economia, dello stato, indicare delle mete, e corredarle da un programma istituzionale coerente, è una necessità primaria e, non, un mero tema “tecnico” di revisione della spesa.

Tutto ciò perché la crisi e le nuove sfide che ci attendono anche sul delicato versante dell'immigrazione oltre che nel contrasto della minaccia terroristica, portano con sé tensioni di vasta portata e dalle inedite implicazioni; nuove situazioni che si ha il dovere di affrontare con una visione in positivo che sappia migliorare l'esistente, in questo senso la sicurezza pubblica, funzione fondativa dello Stato moderno, può - come allora -, proporsi quale risorsa primaria per contribuire alla coesione nazionale e alla difesa del Paese.

Tutto questo può divenire un’opportunità per la funzione democratica di polizia se quest’ultima è interpretata come un orizzonte, uno sforzo professionale, una elaborazione del progetto di servizio che interpella le professionalità dell’Amministrazione.

In sostanza, la deontologia professionale del servizio mostra quanto e come la “comunità degli operatori di polizia” può contribuire – anche grazie alle sue rappresentanze associative sindacali – ad affrontare i nodi del nostro paese.

Nella sicurezza quale valore pubblico da generare e rendere disponibile, le professionalità dello Stato dedicate alla difesa dal crimine e alla tutela dei beni comuni – siano essi materiali o immateriali – della società italiana, assumono una strategicità assolutamente unica.

La formazione può chiarire ad esplicitare (e non è mai la ripetizione di un concetto acquisito) il fine istituzionale alto, un operatore “formato” è oggi la miglior risposta sul fronte del contrasto a tutte le forme di criminalità compresa quella terroristica le cui risposte non sono certamente quelle rappresentate dall'istituzione delle unità di primo intervento.

Siamo consapevoli che l'aggravarsi degli attuali scenari internazionali costituisca, per tutti, fonte di accresciuta preoccupazione ma le “risposte” che si devono oggi dare sul versante della sicurezza non possono più essere rimandate e hanno bisogno di un sostegno ampio come di risorse per la loro attuazione.

Oggi le forze di Polizia si trovano sempre più esposte a fronteggiare “vecchie e nuove criticità” con sempre più scarse risorse in uomini e mezzi con un età anagrafica media che è la più alta d'Europa a fronte di carichi di lavoro sempre più in aumento. Ciononostante la professionalità dei nostri operatori è ancora elevata e non va dispersa ma, per fare ciò, si rendono necessari ulteriori investimenti soprattutto sul fronte dell'ammodernamento delle tecnologie e sul versante formativo del personale.

Iniziative come quella odierna a Firenze, con una massiccia presenza di operatori, sono la migliore dimostrazione di ciò che andiamo ripetendo da tempo e cioè che vi è una forte richiesta di formazione da parte del nostro personale che non va svilita nè sottovalutata, cosa che abbiamo ribadito di recente anche al Capo della Polizia. 

Oltre al delicato e strategico tema della formazione mi viene da ricordare anche l'esigenza oggi primaria di un reale ed efficace scambio di informazioni e di dati tra le autorità di Polizia dei diversi Stati (DNA; impronte digitali, immatricolazione dei mezzi ..) connessa anche alla correlativa esigenza di protezione di quelle informazioni, per loro natura, sensibili.

Questo poiché il “fenomeno del terrorismo internazionale” nelle sue forme attuali non conosce confini di Stati e di regioni, non a caso si parla di criminalità transnazionale, in uno scenario sempre più accentuato di globalizzazione e di interdipendenza tra Stati e organismi internazionali.

Pertanto, è sui versanti del coordinamento investigativo come sull'evoluzione della normativa in materia di antiterrorismo che si gioca il nostro futuro.

Infatti, le nuove norme riguardanti le attività sotto copertura (undercover) le intercettazioni preventive, l'arresto o il sequestro differito di corrispondenza o le misure preventive di espulsione da parte del Ministro dell'Interno e del Prefetto, sono solamente alcune delle variegate situazioni operative che interessano l'attività del nostro personale, situazioni che presentano, per la loro stessa natura, una elevata criticità in relazione alle modalità di intervento e che necessitano di una ulteriore conoscenza e approfondimento di materie in continua evoluzione.

Su tale versante, in un quadro normativo ancora da perfezionare, registriamo la criticità volta alla acquisizione di concreti indicatori tesi a dimostrare la pericolosità sociale dei soggetti destinatari di provvedimenti di espulsione dal nostro Paese.

Inoltre, la consapevolezza dovuta al carattere di imprevedibilità del terrorismo internazionale, pone una diversa serie di problemi anche in ordine alle caratteristiche dei possibili, potenziali attentatori che sono rappresentati da cellule ben organizzate ma, molto spesso, anche da reduci provenienti dai conflitti siro-iracheni (foreign fighters) come ai possibili emulatori o fiancheggiatori (vedasi il recente caso Lombardo).

A ciò si aggiunga anche che, alla luce dei nuovi e più recenti attacchi terroristici, le modalità operative e il sistema normativo subiscono, in ragione dell'evidente emergenzialità in atto, continue evoluzioni e trasformazioni che rendono difficoltoso il lavoro di quanti si trovano impegnati su tali versanti preventivo-repressivi.

Sul piano prettamente operativo registriamo, in questo senso, una serie di difficoltà soprattutto alla luce dell'attrattiva rappresentata dai messaggi diretti ai mussulmani di seconda e terza generazione residenti in Europa, persone spesso integrate in quei Paesi che, con incitazioni che attraversano la rete, corrono il rischio di costituire una minaccia, anche interna, per tali Stati come hanno dimostrato gli episodi di Parigi e di Bruxelles.

Oltre alle situazioni tendenti alle finalità di “arruolamento” nei combattimenti in Siria o in Iraq si è altresì manifestato il recente ed insidioso fenomeno dei c.d. “homegrown” (coltivati in casa) un'incognita che riguarda la possibile presenza e “attivazione” di terroristi che, individualmente o in micro-cellule, possano, raccogliendo gli inviti di gruppi qaidisti o dello stato islamico, attivandosi in azioni sul territorio nazionale.

Si comprendono, pertanto, le molteplici difficoltà operative alle quali vanno incontro Magistratura e Forze di polizia nell'individuazione e nel monitoraggio dei tanti soggetti “homegrown -foreign fighters- lone actor” che compongono la svariata galassia eversiva formata da “solitari” e “regolari”.

Per non parlare delle modifiche normative che interessano le figure degli (addestratori – addestrato - arruolatore) inserite negli artt. 270 quater e quinqies e quater 1 del vecchio “decreto Pisanu” che prevedono, ai fini della punibilità, “l'aver posto in essere atti concreti con finalità di terrorismo”.

Sul versante del monitoraggio occorre quindi uno sforzo maggiore da parte di quel personale specializzato che si occupa di arginare sul Web l'operatività di cellule formatesi e addestratesi anche grazie all'ausilio fornito dai siti fondamentalisti.

L'aver dilatato l'ambito delle intercettazioni preventive includendo anche i reati con finalità di terrorismo consumati o tentati commessi con l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche costituirà un aggravio di impegni anche per la Polizia Postale e delle Telecomunicazioni che necessita, anche in questo caso, di un maggior numero di risorse aggiuntive, operazione in controtendenza con l'attuale progetto di riduzione di tali presidi operanti sull'intero territorio nazionale.

Vedasi le nuove funzioni affidate oggi dal legislatore al Servizio di Polizia Postale e delle Telecomunicazioni che avrà, ex art.2 del decreto legge 7/2015, nuovi compiti e poteri in ordine alla gestione e all'aggiornamento di apposite “black list” dei siti utilizzati, anche, con finalità di terrorismo internazionale.

L'individuazione dei siti “a rischio” sotto il profilo terroristico avrà, inoltre, un'ulteriore rilevanza anche dal punto di vista delle attività operative vedasi quella “under cover” riguardando, in tal modo, sia il profilo investigativo che quello preventivo-repressivo.

La Polizia Postale ha pertanto acquisito un importante ruolo relativo alle attività di monitoraggio e intervento nel settore telematico e informatico che prevede la possibilità di oscurare interi siti ma che comprende, anche, un più capillare monitoraggio di reti telefoniche, blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, un motivo in più per mettere in campo investimenti mirati su questa importantissima branca dell'intelligence.

In sostanza, la drammatica evidenza mostrata dagli efferati e gravi attentati terroristici a partire dall'11 Settembre americano, culminati nelle stragi di Madrid, Londra, Parigi e Bruxelles ci avevano già indotto a ritenere che le trasformazioni del terrorismo globale non potevano più essere affrontate con le consolidate tecniche di intelligence occidentali e che, anche per le caratteristiche economico-finanziare di un simile fenomeno, si rendesse necessario un rapido cambio di passo.

Permettetemi ancora un paio di considerazioni: la prima è che non basteranno mai i soli interventi messi in campo dalla Polizia e dalla Magistratura anche in considerazione di tutto ciò che avviene in quelle aree del Mondo flagellate da guerre e lotte intestine, la seconda: che è impossibile raggiungere un livello di sicurezza totale, questo sia per i motivi già enunciati, sia per le variabili mondiali che non permettono alcun genere di previsione nel medio-lungo periodo.

La Libia ha infatti perso ogni unità statale ed è in mano alle milizie, alle tribù, ed ai vari clan in lotta fra loro anche perché questo conflitto riguarda qualcosa di molto consistente: i proventi del petrolio e i circa 70 miliardi di dollari accumulati all’estero dalla banca centrale libica, tutto questo è un ulteriore aspetto delicato e pericoloso, in particolar modo per la funzione di “controllo” delle frontiere.
Un efficace contrasto al terrorismo non è, in definitiva, risolvibile solo sul versante preventivo o repressivo e non lo sarà mai in nessun paese al mondo fino a che non risolveremo questioni da troppo tempo aperte e per le quali non si è, ad oggi, trovata alcuna soluzione come nel caso degli interventi a carattere umanitario o di integrazione dei tanti migranti che continuano a perire a causa della mancata adozione di idonei corridori umanitari.

Un simile comportamento non si riscontra, peraltro, con quanto di recente messo in campo dal governo attraverso l'emanazione di un provvedimento anti-terrorismo che non stanzia sufficienti risorse per le forze di Polizia e che è carente, tranne che in pochi casi, rispetto all'adozione di misure efficaci nel contrasto al fenomeno eversivo internazionale.

Purtroppo, anche questa volta il “tema della sicurezza” viene concepito e affrontato in maniera non sistematica ed “emergenziale” rispetto a quelle che sono le esigenze reali tese a far fronte, concretamente, alle esigenze di sicurezza dei cittadini.

 

30 Giugno 2016 Auditorium Crf Firenze

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