Tortura e Identificativi
Silp Cgil: “temi caldi” che vanno affrontati con serietà e serenità”

Reato di tortura:  Non sia punitivo nei confronti dei lavoratori in divisa, da chiarire alcune questioni, a partire dal 'dolo specifico';
Identificativo: Tema che va affrontato seriamente guardando alle reali criticità e dotando la giustizia di strumenti repressivi più adeguati.   

Sul reato di tortura la posizione del Silp Cgil è sempre stata chiara: se è anacronistico non dotare il nostro ordinamento di una simile fattispecie,  non può trattarsi di una norma penalizzante per le lavoratrici e i lavoratori in divisa che, nella stragrande maggioranza dei casi, operano con diligenza e nel rispetto delle leggi. Per questo chiediamo alla Commissione Giustizia del Senato, dove il testo è tuttora in discussione, un approfondimento per quel che concerne l'emendamento che chiede la soppressione dell'aggettivo 'reiterate' in relazione alle 'violenze o minacce gravi' commesse da chiunque cagiona, come si legge nel testo, 'acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico' ad una persona. Occorre, altresì, prevedere altre importanti modifiche, soprattutto in tema di dolo specifico". A nostro avviso occorre chiarire il senso dell'eliminazione dell'aggettivo 'reiterate', soprattutto perché, visto che si parla di 'violenze o minacce gravi' al plurale, l'espunzione o meno di quella parola potrebbe non essere così importante. Ma si tratta comunque di un punto da precisare. Piuttosto, come Silp Cgil riteniamo opportuno richiedere al Parlamento che la norma faccia espresso riferimento al 'dolo specifico' e che punisca solo chi cagiona 'intenzionalmente' le sofferenze fisiche o il trauma psichico. Data la severità delle pene, è ragionevole pretendere che la volontà dell'agente investa a pieno l'evento verificatosi in conseguenza della sua condotta. Su questo, senza demagogia ma con molta concretezza, faremo la nostra battaglia in difesa dei poliziotti.
Da diverso tempo, ormai, tutto l’universo mondo disserta sul numero identificativo da far indossare sull’uniforme del personale di polizia in servizio. Un problema civile, quasi ovvio, certo da discutere, risolto, come vedremo almeno in parte, in molti Paesi e divenuto nel nostro, un oggetto del contendere che - come gli episodi del G8 di Genova, la legge sulla tortura, ma anche il riconoscimento delle coppie omosessuali, le differenze semantiche tra la famiglia e le famiglie (che fortunatamente in questo caso non sono quelle mafiose), la gravità della corruzione, eccetera eccetera - si è trasformato in un problema apodittico, gravato dai peggiori aspetti politici e partitici, imbevuto di non conoscenza del problema, pregiudizi e preconcetti dall’una e dall’altra parte, luoghi comuni. Cerchiamo anche qui di fare un po’ di chiarezza per aiutare un dibattito che merita interlocutori di un livello un po’ più elevato della maggior parte di quelli che l’hanno caratterizzato fino ad oggi. In alcuni Paesi (Canada; Stati Uniti, sia pure con le differenze connesse all’elevato numero di Corpi del tutto indipendenti; Regno Unito, Paesi scandinavi, Spagna; Catalogna, Belgio, ed altri), il personale in uniforme porta un numero di matricola, di piccole dimensioni, solitamente sul petto o sulle controspalline. In qualcuno di questi casi, viene addirittura portata una targhetta con il cognome dell’agente. In altre realtà è stato “imposto” recentemente, vedasi la Francia attraverso una targhetta di circa 15 mm x 70 mm con una decina di cifre. In altri Paesi ancora, peraltro, non meno evoluti e formalmente democratici, i poliziotti non portano alcun identificativo. Tutti questi casi interessano il personale a contatto con il pubblico. Ma, ad esempio, come si può osservare dalle recenti fotografie del personale di Polizia americano in servizio a Dallas, non sempre l’identificativo è portato o, comunque, è visibile e leggibile. Detto questo, la maggior parte delle resistenze all’identificativo da parte di tutti i poliziotti del mondo, si riscontra per le attività di ordine pubblico e di controllo delle manifestazioni. Quei casi, dove, in molte situazioni, la violenza è sempre dietro l’angolo e la provocazione è considerata parte del tutto.

Così, in taluni Paesi in ordine pubblico l’identificativo non è previsto e, laddove lo è scompare sotto i giubbotti protettivi o altre buffetterie del caso. È quindi importante chiarire a chi, fra tutti quelli che disquisiscono sul tema, che le sigle a grosse lettere (siano numeri o cifre) che compaiono talora nelle fotografie sulle uniformi di poliziotti impegnati in ordine pubblico, in alcune realtà non sono identificativi ma sigle operative finalizzate ad un miglior reperimento degli operatori.
Inoltre, altro aspetto che va tenuto in conto, ove l'identificativo è presente non  è automaticamente scongiurato il verificarsi di abusi o violenze.
In conclusione riteniamo pertanto che, come altri, anche il problema dell’identificativo vada affrontato seriamente e serenamente. Ma, ovviamente, in un Paese dove la violenza e la calunnia verso le Forse di polizia fanno parte dell’essenza stessa di specifiche minoranze, sia necessario controbilanciare questa scelta con altre che consentano di identificare i manifestanti violenti contro le persone - e magari anche contro le cose - e di assicurarli con maggior facilità ad una Giustizia a sua volta dotata di strumenti repressivi più adeguati.   
Come Silp Cgil faremo la nostra parte affinché quanto licenzierà il Parlamento su questi temi nel futuro tenga realmente conto delle esigenze delle persone e degli stessi operatori mantenendoci al di fuori da polemiche capziose da parte di chi, non avendo a cuore la reale tutela di tali interessi, tende a strumentalizzare ogni competente approccio verso tali delicatissimi e importanti temi.



Roma, 13 Luglio 2016


Editoriale di Daniele Tissone, segretario generale Silp Cgil.

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