Intervento di Daniele Tissone, Segretario Generale Silp Cgil, sulla rivista Kalima, periodico culturale di riferimento della Muslim World League.

"C'è una immagine che mi sta particolarmente a cuore, quella delle studentesse di Mosul che, dopo l'attentato terroristico che ha devastato la propria università, sono rientrate sorridenti nel loro ateneo, davanti alle tv di mezzo mondo, sfidando la follia di Daesh, per tornare a coltivare il sapere. Affermo questo perché oggi più che mai la mia convinzione è che il terrorismo si possa e si debba battere soprattutto sul piano della cultura. Lo dico da poliziotto, perché le misure di prevenzione e lo straordinario lavoro delle Forze dell'Ordine, soprattutto delle lavoratrici e dei lavoratori italiani, non possono metterci del tutto al riparo dal pericolo di attentati, anche nel nostro Paese. Lo dico da sindacalista Cgil che tenta ogni giorno di combattere e di lottare per coniugare le esigenze della sicurezza, un bene primario costituzionalmente garantito, con quelle dell'accoglienza nei confronti di chi scappa soprattutto dalle guerre e dalle devastazioni. Dobbiamo essere consapevoli, infatti, che la sfida al terrore va fatta anche al di fuori dei nostri confini e non con azioni di guerra, ma con interventi che tolgano alibi a chi si immola per ideali portatori di morte e di sofferenza tra le popolazioni in nome di una religione, l'Islam, che, come qualsiasi altra confessione teista, vieta ogni forma di terrorismo e insegna all’uomo a controllare rabbia e passioni. Concretamente, è necessario adottare una strategia multilaterale che punti a prevenire e contrastare tutti quei fenomeni che possono portare alla radicalizzazione di giovani ragazzi i quali, per svariate ragione, rischiano di cadere nella trappola dell’Isis. Integrare, dunque, è la parola d’ordine. L'integrazione vera è un concetto strettamente collegato al fattore culturale, direi una endiadi poderosa. Lo possiamo fare, come in parte sta già avvenendo, attraverso una serie di iniziative che spronino i ragazzi e le ragazze mussulmani cresciuti in Italia a non disinteressarsi rispetto a quanto avviene nel nostro Paese ma, anzi, a partecipare in modo attivo, in maniera tale da sottrarli ai richiami sinistri del Califfato Nero. A luglio, forse pochi lo sanno, l'Italia si è finalmente dotata nel proprio ordinamento di una legge contro la radicalizzazione, su iniziativa degli onorevoli Manciulli e Dambruoso. L'articolato, attraverso una regia nazionale, demanda a singoli centri regionali la realizzazione di azioni preventive sul territorio, dalle scuole all'università, dalle carceri ai quartieri attraverso campagne di sensibilizzazione, incontri di gruppo e individuali. Fondamentale da questo punto di vista, come sostengono da sempre la Cgil e il Silp Cgil, è la formazione del personale coinvolto su cui bisogna investire e non tagliare, cosa che è puntualmente avvenuta negli ultimi anni: dalle Forze di Polizia al personale dei servizi socio-sanitari, fino ai docenti. Ancor più necessario è il coinvolgimento delle comunità mussulmane, con le quali il Viminale ha sottoscritto lo scorso febbraio il "Patto nazionale per un islam italiano". In campo può e deve scendere un "esercito" non fatto di soldati, ma di cultura, di attori della società civile come psicologi, sociologi, criminologi, mediatori culturali, imam riconosciuti e moderati, insegnanti. E naturalmente poliziotti. Non è una sfida impossibile, ma è l'unica sfida che possiamo intraprendere. La sola via, stretta forse e in ogni caso faticosa, che va percorsa. Hafez Haidar, candidato al Premio Nobel per la Pace 2016, da sempre impegnato nella costruzione di un ponte di dialogo tra le sponde del Mediterraneo, ha ricordato anche recentemente che "il fondamentalismo nasce dall’odio, dal fanatismo, dall’ira, dall’ignoranza, dagli interessi economici. Genera frutti che germogliano e si ramificano in società degradate, oppresse, arretrate, prive di diritti sociali e civili, chiuse alle novità, alla modernità, alla democrazia e al progresso". La cultura, dunque, resta l'arma più forte che abbiamo. Quel sorriso delle ragazze dell'antica Ninive rappresenta una speranza che non possiamo davvero lasciar morire".

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